l’Espresso online, 22 settembre 2015
L’economista Emiliano Brancaccio commenta le elezioni in Grecia e la nascita del secondo governo di Syriza. «Quelli del memorandum sono obiettivi insostenibili», dice, e punta il dito sulle privatizzazioni: «Aggraveranno la deflazione e ne guadagneranno solo gli acquirenti. Occorre prepararsi a nuove crisi e all’eventualità di uscita dall’eurozona».
di Luca Sappino
«Il nuovo esecutivo farebbe bene a prepararsi comunque all’eventualità di un’uscita dall’euro». Ottimista non è, la conclusione di Emiliano Brancaccio, economista dell’Università del Sannio. Lui però dice di applicare solo logica ed esperienza: «Syriza può mitigare alcune misure, ma la direzione che seguirà il parlamento greco – svuotato di ogni potere – è stata decisa altrove, a Bruxelles, ed è la solita: austerity e attacco ai salari. La conseguenza è che gli obiettivi di bilancio risulteranno insostenibili». Il problema, allora, è capire come attrezzarsi, e se arriverà «un finanziatore estero» capace di sostenere il Paese in caso di uscita dall’Euro. Ma andiamo con ordine.
Alexis Tsipras vince le elezioni e continua nel suo obiettivo dichiarato: governare da sinistra il memorandum siglato con le autorità europee. È un’impresa possibile?
«Temo di no. Tsipras ha compiuto un capolavoro tattico che ha sbaragliato il dissenso interno, ma controllerà un parlamento che è stato ancor più svuotato delle sue funzioni. Il memorandum imposto dai creditori stabilisce fin nei minimi dettagli l’agenda politica alla quale la Grecia dovrà attenersi: dal taglio ulteriore della spesa pensionistica, all’aumento delle tasse in caso di sforamento degli obiettivi di bilancio, fino all’ulteriore indebolimento della contrattazione collettiva. Le tranches dei finanziamenti europei necessari a pagare i debiti in scadenza e a ricapitalizzare le banche greche sono condizionate al tassativo rispetto di questo programma. Il governo di Atene cercherà di rallentare il ritmo di marcia, ma la direzione è stata già decisa a Bruxelles, ed è la solita di sempre: liberismo, austerity e deflazione salariale».
Juncker e Merkel sostengono che il nuovo programma consentirà finalmente di risanare i conti della Grecia. Anche il ministro Padoan si è espresso in questo senso. Sono previsioni attendibili?
«Sono mistificazioni. La ricetta del memorandum è la stessa che ha contribuito negli ultimi cinque anni al crollo dell’occupazione in Grecia e all’esplosione del rapporto tra debito e reddito. Questa volta, oltretutto, il governo greco è chiamato a realizzare un’ondata senza precedenti di svendite all’estero di patrimonio pubblico. In un articolo di prossima pubblicazione sul Cambridge Journal of Economics, mostriamo che queste dismissioni rientrano in un processo di “centralizzazione forzata” dei capitali che aggrava la deflazione e può peggiorare la posizione finanziaria del Paese debitore: nel giro di un anno scopriremo che gli obiettivi di bilancio imposti alla Grecia sono insostenibili e che dal memorandum hanno tratto vantaggio solo gli acquirenti esteri di asset greci».
Potrebbe cambiare tutto il concretizzarsi della proposta di taglio del debito, che sembra sostenuta anche dal Fondo Monetario Internazionale?
«Sempre che ci siano le condizioni per un accordo di questo tipo – e non mi sembra – per avere qualche effetto macroeconomico dovrebbe trattarsi di un taglio di notevoli proporzioni e dovrebbe esser pensato in modo da abbattere fin da subito l’ammontare dei rimborsi annui. In generale, comunque, la proposta presenta un limite logico che gli economisti ben conoscono: fino a quando i tassi d’interesse restano al di sopra dei tassi di crescita del reddito, tu puoi anche cancellare una parte del debito ma poi quello rischia di esplodere di nuovo. Per affrontare questo problema bisognerebbe orientare le politiche monetarie e fiscali verso l’obiettivo di far crescere il reddito al di sopra dei tassi d’interesse: ma nel quadro europeo questa semplice constatazione logica suona come un’eresia keynesiana e non verrà presa in considerazione».
Lei descrive una situazione molto critica ma alternative politiche non se ne vedono. Nonostante il sostegno dell’ex ministro Varoufakis, i fuoriusciti di Syriza sono rimasti fuori dal parlamento greco…
«Assieme a larga parte della sinistra europea, Tsipras ha contribuito ad alimentare la speranza che una vittoria in Grecia avrebbe creato condizioni favorevoli per cambiare la politica economica dell’Unione. Fin dal 2012 in tanti abbiamo segnalato che questa era un’illusione, che non teneva conto dei reali rapporti di forza interni al capitalismo europeo. I fuoriusciti di Syriza hanno sollevato apertamente questo enorme problema solo nelle ultime settimane, quando sapevano di esser già stati messi alla porta».
Forse – soprattutto – è mancato il fantomatico “piano B”, oggi auspicato anche dal nostrano Stefano Fassina, con il francese Mélenchon, già leader del Front de Gauche, e il tedesco Oskar Lafontaine, l’ex ministro delle finanze tedesco, fondatore della Linke. Mancano gli aspetti tecnici che lo rendano credibile. In cosa potrebbe consistere? Monete complementari, crediti fiscali…
Il “piano B” non è per nulla fantomatico, ormai fa parte persino dei documenti ufficiali dell’Eurogruppo. Il problema è che per il momento sul tappeto c’è solo la versione elaborata dal governo tedesco, favorevole ai creditori e con una chiara matrice di “destra”. A sinistra anche su questo tema vedo enormi ritardi. In caso di nuove crisi dell’eurozona sarebbe opportuno che anche da quelle parti maturasse un’idea su come gestire la situazione. Le opzioni sono tante, tra cui il rilancio della “clausola della valuta scarsa” tuttora presente nello statuto del Fondo monetario internazionale.
Pur non essendo mai stato tenero con Tsipras, in un recente convegno alla Camera lei ha contestato l’appellativo “traditore” con cui gli oppositori lo additano, alludendo all’esito referendario. Perché?
«Perché ancora non sappiamo se Tsipras avesse un’alternativa credibile. Le analisi di cui disponiamo indicano che se il governo greco avesse deciso di uscire dall’euro e attuare un minimo di politica espansiva, per qualche anno il Paese avrebbe avuto bisogno di un finanziatore estero che lo aiutasse a coprire l’eccesso di importazioni sulle esportazioni. Quel finanziatore esisteva? Tsipras ha dichiarato che nessuno si è fatto avanti, mentre altri hanno affermato il contrario. Questo punto solleva rilevanti questioni economiche e geopolitiche: finché non verrà chiarito sarà difficile dare una valutazione definitiva sulle mosse del Premier greco».
La vittoria elettorale di Tsipras chiude definitivamente la controversia sull’uscita dall’euro, dibattito che ultimamente ha investito anche la sinistra europea?
«No. Le politiche europee non attenuano gli squilibri tra Paesi debitori e Paesi creditori dell’eurozona ma al contrario tendono ad accentuarli. Questa forbice ricade sui bilanci bancari e preannuncia nuove crisi, che non potranno esser gestite con le esigue risorse della neonata Unione bancaria europea. Il problema della insostenibilità della moneta unica resta dunque attuale. Se le forze di sinistra intendono restare al passo con i tempi farebbero bene a non dividersi e ad assumere un approccio laico alla questione, che conoscono poco e ancor meno controllano».
Salvo imprevisti Euclid Tsakalotos verrà confermato alla guida del ministero delle finanze greco. Se lei fosse al suo posto quali provvedimenti riterrebbe urgente attuare?
«Sono stato educato al realismo politico ma non sono al suo posto e non vorrei esserci. Ad ogni modo, se dovessi esprimere un parere sulla politica greca ventura, direi che le svendite di capitale pubblico e la riforma della contrattazione salariale rappresentano le “bestie nere” dell’accordo con i creditori. Piuttosto che attuare quelle, la priorità macroeconomica dovrebbe consistere nel preservare e rafforzare i controlli sui capitali e prepararsi comunque all’eventualità di una “Grexit”, riprendendo anche la ricerca di finanziatori esterni al memorandum europeo».