il manifesto, 13 agosto 2016
L’economista Emiliano Brancaccio: «Nel declino generale delle previsioni di crescita in Europa, l’Italia è uno dei paesi che fa registrare i risultati peggiori». E «sulle riforme del lavoro Renzi si comporta come lo stregone che crede che la sua danza provochi la pioggia. In realtà, un’analisi comparata tra paesi dimostra che la crescita occupazionale italiana è risultata meno della metà della media europea. L’apologia del Jobs Act è infondata».
Intervista di Roberto Ciccarelli
Dopo cinque trimestri consecutivi di aumento il Pil si è fermato. La crescita è a zero nel secondo trimestre, +0,7% sull’anno, ben al di sotto dell’1,2% fissato dal governo. Per il Ministero dell’Economia la responsabilità è della Brexit e del terrorismo. Per Emiliano Brancaccio, docente di economia all’Università del Sannio, è invece la conferma che lo storytelling del presidente del Consiglio Renzi non funziona e il suo sbandierare successi sul versante dell’occupazione può trasformarsi in un boomerang. «Non si tratta di un dato solo italiano – precisa – Eurostat ha segnalato che l’Eurozona cresce di circa la metà rispetto al trimestre precedente. Il Pil europeo cala rispetto alle previsioni a causa dell’incertezza sulla tenuta economica del sistema bancario, ed anche sulla tenuta politica dell’Unione europea dopo la Brexit. L’italia ci mette il suo: nel declino generale del Pil è uno dei paesi che fa registrare i risultati peggiori».
A cosa è dovuto questo primato?
Al fallimento delle politiche economiche di Renzi rispetto al suo storytelling. In questi mesi il governo ha insistito sul fatto che dopo il Jobs Act si è verificato un incremento dell’occupazione. È l’atteggiamento tipico dello stregone che fa la danza della pioggia: se vede la pioggia stabilisce una relazione tra il suo balletto e l’andamento del clima. Ma per determinare su basi scientifiche quali siano stati gli effetti reali del Jobs Act bisogna almeno effettuare un’analisi comparata tra paesi: in questo modo scopriamo che in Italia, dall’entrata in vigore della legge, la crescita occupazionale è risultata meno della metà della media europea. Il dato rivela che la narrazione fondata sull’apologia delle riforme del lavoro è completamente sganciata dai fatti. Queste riforme hanno solo indebolito i lavoratori senza produrre nessun effetto significativo sull’occupazione.
La produzione industriale crolla, l’export frena. È un dato sistemico o è colpa della Brexit o del terrorismo come dice il Mef?
La Brexit è il sintomo politico di una crisi sistemica che è maturata molto prima del referendum inglese. I problemi dell’Eurozona sono messi bene in evidenza dai dati sul calo dei prezzi, che si registra in Italia e in vari altri paesi dell’Unione. Questa tendenza, che a prima vista potrebbe sembrare benvenuta, a livello macroeconomico determina diversi inconvenienti. Quando i prezzi diminuiscono, diminuisce il valore nominale delle entrate. Questo mette i debitori, pubblici e privati, sempre più in difficoltà quando si tratta di onorare gli impegni di pagamento assunti. Le difficoltà dei debitori ricadono poi sul sistema bancario e spiegano la grande incertezza di questi mesi sulla tenuta del quadro finanziario europeo. Si chiama «deflazione da debiti» e ci siamo completamente immersi.
Decontribuzioni per i neoassunti, bonus 80 euro, abolizione della tassa sulla prima casa non hanno funzionato, dunque.
Per paradosso Renzi e Padoan vengono considerati come dei keynesiani spendaccioni nel consesso europeo. In realtà, il quadro complessivo della politica di bilancio nazionale resta tendenzialmente restrittivo. L’Italia è stata per vent’anni il paese che ha fatto il record europeo degli avanzi primari di bilancio, cioè dell’eccesso di pressione fiscale rispetto alla spesa pubblica al netto del pagamento degli interessi. Il governo Renzi non si è discostato molto da questa tendenza.
Quanto pesano su questa situazione gli insoddisfacenti risultati del Quantitative easing di Draghi?
La Bce da sola non è in grado di rilanciare l’economia né può contrastare la tendenza alla deflazione. Se continuamo ad affidarci alla Bce per rilanciare l’economia dei paesi in difficoltà commettiamo un grave errore logico.
Qual è l’alternativa?
L’ex capo economista dell’Fmi Olivier Blanchard ha suggerito, assieme ad Adam Posen, che per contrastare la deflazione giapponese bisognerebbe aumentare in modo significativo i salari. A date condizioni sarebbe una soluzione valida anche dalle nostre parti. Ma in Europa e in Italia il rilancio dei salari è considerato un’eresia indicibile. Nell’Unione prevale un’idea di competizione tra paesi basata sulla demolizione dei sindacati e sullo schiacciamento delle retribuzioni: una soluzione apparentemente razionale per la singola impresa o per gli interessi capitalistici di una singola nazione, ma che deprime la domanda effettiva e diventa un boomerang micidiale a livello sistemico.
Se Renzi perde il referendum costituzionale sarà per il fallimento delle sue politiche economiche e sociali?
In una celebre campagna elettorale statunitense si diceva: «È l’economia, stupido!». Se lo scarto tra narrazione del governo e fatti economici continuerà ad allargarsi, Renzi vedrà ridursi ulteriormente il consenso anche sulle sue riforme istituzionali.