l’Unità (30 aprile 2012)
Recensione di Ronny Mazzocchi a E. Brancaccio e M. Passarella, “L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa” (Il Saggiatore, Milano, pp. 152)
Negli ultimi anni abbiamo imparato a diffidare delle pubblicazioni economiche che rilanciano improbabili teorie alternative, dimostrandosi niente più che un confuso insieme di luoghi comuni. Non è però questo il caso del saggio che Emiliano Brancaccio e Marco Passarella hanno da poco mandato in stampa. “L’austerità è di destra” (Il Saggiatore, € 13) ha l’obiettivo di mettere in discussione – attraverso una struttura teorica robusta e coerente – molti di quei pregiudizi che si sono radicati nell’opinione pubblica progressista negli ultimi vent’anni. Partendo dall’attuale crisi europea, gli autori discutono di spread, banche centrali e attacchi speculativi cercando di sgombrare il campo dalla mitologia e dal complottismo che invece domina sulla grande stampa. La tesi centrale del libro è che i problemi dell’area euro, più che derivare dagli eccessi di indebitamento pubblico, sono il risultato di gravi e crescenti squilibri di bilancia dei pagamenti fra i paesi membri. Si tratta di criticità che erano già presenti nella fase in cui operava lo SME e che, con la definitiva eliminazione delle monete nazionali, invece di risolversi si sono addirittura aggravate. Tentare di uscire da questa situazione facendo pagare il conto ai paesi in disavanzo significherebbe condannare non solo questi ultimi ad un rapido impoverimento ma anche l’intero continente ad una lunga depressione. Brancaccio e Passarella propongono così una strada diversa: maggiore coordinamento comunitario, un sistema capace di creare un motore interno di crescita e un meccanismo riequilibratore in grado di generare un aggiustamento virtuoso, seguendo un percorso contrario alla deflazione salariale imposta finora dalla Germania a tutta Europa. Probabilmente la parte del libro che susciterà maggiori discussioni è quella politica e chiama in causa l’atteggiamento che la sinistra italiana sta tenendo in questa fase. La scelta di appoggiare le politiche di austerità del governo Monti è – secondo gli autori – una diretta eredità delle scelte berlingueriane di fine anni Settanta. Tuttavia il paragone sembra essere un po’ forzato. L’austerità di oggi è infatti sempre accompagnata da richiami ai vincoli europei o al giudizio del mercati, due elementi che sembrano molto lontani dalla tensione morale predicata dal PCI di allora. Viceversa, le attuali posizioni della sinistra sembrano essere assai più vicine alle esperienze di governo degli anni Novanta che avevano proprio nel progetto europeo il loro asse centrale. Ancora oggi per molti dirigenti progressisti un approccio critico all’unione monetaria resta un tabù. Ed è proprio questo elemento a portare ad uno strabismo politico sempre più palese, che cerca di far convinvere l’austerità di Monti e il suo sostanziale appoggio alla linea tedesca con il sostegno a tutti quei candidati progressisti – non da ultimo Francois Hollande – che si muovono in direzione diametralmente opposta. Più che di Berlinguer, la sinistra italiana sembra quindi vittima del monito di Ugo La Malfa che raccomandava all’Italia di restare agganciata all’Europa per non sprofondare nel Mediterraneo. Purtroppo negli ultimi anni è mancata la necessaria lucidità di analisi per capire che i limiti dell’impianto istituzionale europeo rendevano difficilmente sostenibile nel tempo la nostra adesione. Così, nonostante gli eroici sforzi della nostra
popolazione, in questo splendido mare blu ci siamo finiti lo stesso.
Ronny Mazzocchi