Uno dei problemi di Carbosulcis e di Alcoa verte sulla necessità di accrescere i volumi di produzione per rendere più efficienti gli impianti. A queste condizioni anche i costi dei progetti di ammodernamento diventerebbero molto più sostenibili. In effetti un aumento della produzione nazionale sarebbe possibile, anche perché l’Italia importa enormi quantità di carbone e di alluminio dall’estero. Ma per raggiungere l’obiettivo bisognerebbe introdurre per un certo periodo dei limiti alle possibilità di acquisto del carbone a basso costo proveniente dalla Cina e da altri paesi, così come bisognerebbe imporre vincoli alle decisioni di delocalizzazione in Arabia Saudita prese dalla multinazionale Alcoa (che tra l’altro in questi anni ha ricevuto ingenti finanziamenti pubblici). Tali provvedimenti potrebbero essere adottati soprattutto verso quei paesi in sistematico avanzo commerciale verso l’estero, come del resto lo stesso statuto originario del FMI prevede. Solo affrontando simili nodi si potrebbe passare dalle vuote chiacchiere a un ragionamento concreto sulla politica industriale ed energetica nazionale. Ma i deputati italiani preferiscono parlar d’altro: mentre l’onorevole Gasparri avanza la tesi fantasiosa secondo cui quello sardo sarebbe un problema di “relazioni sindacali”, la deputata Paola De Micheli del Partito democratico inorridisce di fronte alla messa in discussione dei dogmi liberoscambisti ed afferma che i dazi sono un vecchio retaggio del Novecento. La De Micheli evidentemente non ha il tempo di dare un occhio ai rapporti della Commissione Europea, che segnalano oltre 400 nuove misure di limitazione della libera circolazione dei capitali e delle merci adottate nel mondo tra il 2008 e il 2011. Liberoscambisti di “sinistra”, tornate a studiare…
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