Intervista di Marco Berlinguer (Pubblico)
Borse giù e spread in forte crescita. L’inattesa accelerazione della crisi politica del governo Monti ha riportato l’Italia sotto i riflettori della speculazione. C’è tuttavia da domandarsi perché, visto che i dati fondamentali sul piano economico non sembrano essere significativamente cambiati. Mentre sul piano politico, in sostanza si va verso l’anticipo del voto di poche settimane. Abbiamo chiesto all’economista Emiliano Brancaccio di aiutarci a capire.
Cosa sta succedendo?
Innanzitutto, conviene partire dai dati economici. La Bce pochi giorni fa ha rivisto pesantemente al ribasso le previsioni sull’andamento della produzione: nel 2013 l’Europa intera sarà nel mezzo della recessione, e iniziano a sorgere dubbi anche sull’esistenza di un effettivo recupero nel 2014. Viene inoltre confermato il carattere asimmetrico della crisi, che ricade in misura maggiore sull’Italia e sugli altri paesi periferici dell’Unione. In uno scenario come questo, basta poco per far prevalere i venditori sul mercato finanziario.
Molti però dicono che la paura dei mercati è l’abbandono delle politiche di austerità.
E’ una semplificazione. I banchieri e gli speculatori sono affezionati alla lotta di classe, non all’austerity. Del resto, sanno bene che il tentativo di rimettere in equilibrio i conti dell’eurozona a colpi di tagli e tasse non sta funzionando. Basti guardare al rapporto tra debito pubblico e Pil: la cura Monti non lo ha ridotto ma anzi ha contribuito al suo aumento. La scommessa di fondo degli speculatori è un’altra, e riguarda le probabilità di sopravvivenza della zona euro.
La discesa in campo di Berlusconi può davvero mettere in pericolo l’eurozona e può quindi incentivare la speculazione al ribasso?
Non bisogna esagerare l’importanza di Berlusconi, un uomo che ha perso molto del suo potere e della sua credibilità. Ma si può ritenere che il suo ritorno alimenti i dubbi sulla tenuta futura della moneta unica europea. Non dobbiamo dimenticare che sul piano politico Berlusconi non ha mai avuto molto da spartire con quell’aggregato di grandi interessi che si organizza intorno al Partito popolare europeo, e con la sua storica tradizione europeista.
E cosa rappresenta, invece?
Berlusconi ha sempre aggregato attorno a sé un coacervo di interessi diffusi, parcellizzati, rappresentativi delle tipiche frammentazioni del capitalismo italiano: piccole imprese, piccoli proprietari e rentiers, commercianti, autonomi, professionisti, eccetera. Tali soggetti hanno tratto beneficio dalla miscela di politiche di lassismo fiscale e di precarizzazione del lavoro che caratterizzavano l’azione dei suoi governi. Oggi però questo mosaico di categorie sociali soffre in modo particolare i vincoli monetari e fiscali ai quali l’Europa ci sottopone. Una campagna contro i danni dell’euro, di stampo vagamente nazionalista, potrebbe fare molta presa su questi soggetti.
Dunque tu dici: i mercati scommettono su una campagna elettorale di Berlusconi giocata su questo asse?
E’ un soggetto debole, in declino, è difficile dire fino a che punto potrà spingersi. E’ già abbastanza chiaro, però, che in termini generali sceglierà una linea di stampo anti-europeo, soprattutto se rinnoverà l’accordo con la Lega. Al di là delle sue possibilità immediate di successo, questo posizionamento rappresenta un incentivo per i venditori sui mercati finanziari. Perché rappresenta comunque una nuova e ulteriore crepa dei consensi verso l’Europa. Man mano che il tempo passa e la crisi si aggrava, il fronte contro la moneta unica è destinato a ingrossarsi, e la fiducia sulla permanenza futura dell’Italia nella zona euro tende per forza di cose a deteriorarsi. Chi oggi si libera dei titoli scommette su questo: teniamo presente che anche solo un aumento delle future probabilità di uscita dell’Italia dall’euro, e quindi di ridenominazione dei titoli italiani in una moneta deprezzata, determina una caduta del loro valore atteso. E quindi spinge le vendite sul mercato.
Eppure nessuno crede che Berlusconi possa vincere. Cosa giustifica tanto allarme sull’Italia?
Il Financial Times lo ha spiegato bene. Berlusconi è solo un tassello di un puzzle molto più grande. Egli è uno dei molti attori che oggi possono incarnare un sentimento anti-europeo, e che sanno di potere raccogliere nuovi consensi a seguito della crisi e del fallimento delle politiche di austerity. Per i gruppi d’interesse finanziari che tuttora scommettono sulla crisi della moneta unica, ogni nuovo sintomo di disgregazione dell’europeismo incentiva a fare speculazioni. Il fatto che l’ex-Presidente del consiglio della terza economia europea dichiari che l’uscita dall’euro non deve essere considerato un tabù, è solo uno degli ormai innumerevoli segnali di crisi del consenso intorno al progetto europeo.E’ in quest’ottica che dobbiamo leggere i rimablzi dei mercati. Senza sopravvalutare Berlusconi. Ma collocandolo dentro una scia di segnali. Ma lasciami aggiungere una preoccupazione di fronte a questo scenario.
Quale?
E’ possibile che già questa campagna elettorale finisca per svilupparsi lungo questa linea: europeisti da un lato e anti-europeisti di ogni sorta dall’altro…
Ti riferisci a Grillo?
Anche, è chiaro. L’arcipelago dell’anti-europeismo è molto articolato, ma si sta gonfiando. Questo è il punto. La mia preoccupazione è che questa polarizzazione intorno alla moneta unica possa indurre le forze di sinistra ad assumere verso l’Europa un atteggiamento che ben conosciamo, di tipo fideistico, acritico, fatto prevalentemente di retorica. Nel breve periodo questa strategia può anche pagare, ma una volta al governo la sinistra rischia di trovarsi in un vicolo cieco: costretta, costi quel che costi, a restar fedele alla sua retorica europea e quindi ai tremendi vincoli che l’attuale configurazione della zona euro impone.
E cosa suggerisci?
L’europeismo di sinistra oggi dovrebbe essere dialettico, e dovrebbe incardinarsi in una strategia. Non si può lasciare ai soli movimenti di destra o vagamente nazionalisti la critica dell’assetto dell’Unione. Un governo italiano sostenuto da forze di sinistra dovrebbe darsi un mandato preciso in Europa: chiarire in sede di trattativa con la Germania che il rischio concreto, che stiamo tutti correndo, è una crisi non solo della moneta unica ma anche del mercato unico europeo. E’ questa l’ultima carta per tentare di mutare i rapporti di forza interni all’Unione. Se ci si affiderà invece a un europeismo acritico e indiscriminato, si pagheranno nel più lungo periodo pesanti conseguenze politiche.
Intervista apparsa su Pubblico dell’11 dicembre 2012. La riproduzione è consentita citando la fonte.