Il Mattino, 9 dicembre 2018
Fare entrare le grandi criptovalute nei circuiti finanziari delle amministrazioni pubbliche è un azzardo. L’opinione del’economista Emiliano Brancaccio.
Intervista di Sergio Governale
“Fare entrare i bitcoin nei circuiti finanziari delle amministrazioni pubbliche può rivelarsi un errore”. L’economista Emiliano Brancaccio dell’Università del Sannio, esperto in tema di sviluppo e crisi dei regimi monetari internazionali, continua a mostrarsi scettico sull’apertura del Comune di Napoli alle cosiddette criptovalute. Lo raggiungiamo telefonicamente a Milano dove il prossimo 19 dicembre, presso la Fondazione Feltrinelli, si confronterà con l’ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale Olivier Blanchard, in un dibattito sulle politiche necessarie per fronteggiare la disoccupazione e le disuguaglianze.
Professor Brancaccio, a Milano lei discuterà con l’ex capo del FMI delle possibili “rivoluzioni” della politica economica del futuro, in Europa e nel mondo. In termini più circoscritti, potremmo dire che anche la scelta del sindaco De Magistris, di introdurre il bitcoin nei pagamenti del Comune di Napoli, può essere considerata una piccola “rivoluzione” della politica economica locale?
Non direi. L’inserimento delle criptovalute nei circuiti di pagamento che coinvolgono le amministrazioni pubbliche è un fenomeno che si sta diffondendo in varie realtà, non solo a Napoli. Il più delle volte si tratta di espedienti per tentare di rispondere a una drammatica carenza di denaro nelle casse degli enti locali. E’ uno dei tanti effetti collaterali di quelle politiche anti-statuali che da più di un trentennio sottraggono risorse dalle disponibilità pubbliche per spostarle nei circuiti finanziari privati. Non parlerei di “rivoluzione”, quindi. Il bitcoin nelle transazioni dei Comuni mi sembra piuttosto la “reazione” disperata di amministrazioni pubbliche ridotte allo stremo.
Perché?
Se un’amministrazione comunale decide di istituire un piccolo circuito di scambio, che per esempio parta da “cedole” di pagamento delle tasse locali, i problemi non mancano ma sono relativamente circoscritti. Rischi più grandi emergono invece quando gli enti pubblici decidono di aprire un varco alle grandi catene di criptovalute private, come ad esempio il bitcoin.
Quali sono i pericoli?
Il problema principale riguarda il valore di scambio tra la criptovaluta e le altre monete, tra cui ovviamente l’euro. Consentire che il bitcoin entri nella contabilità delle amministrazioni pubbliche è un po’ come immettere nel circuito statale una valuta straniera, che oltretutto non fa capo a nessuna autorità politica. Il suo valore in euro sarà soggetto a sussulti continui, causati dalle ondate di speculazione sui mercati finanziari. Se voci sempre più rilevanti del bilancio pubblico vengono denominate in bitcoin si compie un azzardo, che può generare effetti distributivi indesiderati a ogni eventuale turbolenza del mercato. Su questi effetti bisognerebbe meditare, non solo a Napoli ma in tutti gli esperimenti analoghi tentati da vari enti locali in Europa e nel mondo.
De Magistris, però, presenta il bitcoin napoletano come un segno di autonomismo locale, contro i poteri avversi del governo italiano e dell’Europa.
Che i poteri prevalenti siano avversi alle istanze dei Mezzogiorni è assolutamente vero, a livello sia nazionale che continentale. Ma l’autonomismo locale in tema di moneta non mi sembra una risposta molto convincente, soprattutto se pretende di basarsi sulle grandi catene private di scambio, come il bitcoin. Queste catene internazionali nascono per garantire la certezza dei pagamenti tra privati senza ricorrere alla garanzia statale che è intrinseca nelle normali banconote. E’ una specie di paese dei balocchi della deregolamentazione, una incarnazione del sogno liberista di Friedrich von Hayek di veder nascere una moneta totalmente sottratta al controllo pubblico. Questi strumenti non emancipano dall’oppressione dei cosiddetti poteri forti. Piuttosto, se si diffonderanno nei circuiti pubblici, a lungo andare potrebbero rivelarsi l’ennesimo cavallo di Troia del liberismo.