Il Fatto quotidiano, 23 agosto 2021
Emiliano Brancaccio, professore all’Università del Sannio, è un osservatore attento delle dinamiche del potere accademico. Ha scritto con Giacomo Bracci “Il discorso del potere”, dedicato alla politica dei Nobel per l’economia.
Il potere editoriale delle maggiori riviste economiche è fortemente concentrato negli Usa. Quali sono i rischi?
Le riviste americane detengono un potere accademico enorme, che determina le gerarchie della ricerca economica mondiale. Basti guardare i Nobel per l’economia, quasi sempre provenienti da università americane. Tuttavia, se anche riuscissimo a creare un sistema più equilibrato, magari attribuendo maggior valore alle riviste non americane, resterebbe in piedi il problema principale: è la tendenza dilagante al conformismo, che porta le principali riviste a non pubblicare le ricerche degli economisti più eretici e innovativi. I giovani studiosi lo sanno bene. Pubblicare sulle grandi riviste può agevolare molto la loro carriera accademica, per questo orientano le ricerche su temi e metodi che le redazioni di quelle riviste reputano accettabili.
Quali sono le implicazioni di questo conformismo?
Il conformismo difende i modi abituali di fare ricerca, anche quando questi entrano in palese contraddizione con la realtà. È un meccanismo oscurantista che impedisce la sperimentazione di nuovi metodi di ricerca e blocca il progresso scientifico. L’implicazione principale è un completo distacco dai fatti. Lo ammettono persino i banchieri centrali come Trichet all’indomani della grande recessione mondiale: la ricerca economica oggi dominante non aiuta a fronteggiare le crisi economiche.
In che modo si può contrastare questa tendenza?
Per cominciare, bisognerebbe cancellare le regole più oscurantiste. In Italia, per esempio, c’è l’Anvur, l’agenzia di valutazione del ministero: le sue regole discriminano le riviste di orientamento critico, che pubblicano ricerche che aggiornano il metodo di Marx e degli altri grandi eretici del pensiero economico. Solo una decina di queste riviste viene classificata di “serie A” su un totale di circa 1.500 riviste in quella categoria. È uno sbilanciamento scandaloso che contribuisce a consolidare il dominio accademico delle vecchie dottrine, nonostante i loro conclamati fallimenti.
Intervista di Alessandro Bonetti