Un’intervista dedicata all’appello “The Economic Conditions for the Peace” pubblicato il 17 febbraio sul Financial Times.
Il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2023
“[…] D: Al momento, la strategia occidentale si basa tutta sull’invio di nuove armi all’Ucraina. È una linea sbagliata?
EB: È sbagliata soprattutto se non viene accompagnata da un’iniziativa diplomatica. Noi pensiamo a una disponibilità occidentale ad aprire un tavolo di trattative per rivedere il protezionismo unilaterale del “friend shoring”. Questo è un nodo da sciogliere, se si vogliono davvero allentare le tensioni. Soprattutto con la Cina, che è un attore chiave di questa tremenda partita globale.
D: La Cina ha appena pubblicato un position paper sulla guerra in 12 punti, alcuni dei quali intersecano il vostro appello. Al punto 11, in particolare, Pechino chiede di “preservare l’attuale sistema economico mondiale” e le relative catene mondiali della produzione.
EB: In linea di principio si tratta di un buon segnale. Ma se lo scopo cinese è “preservare” il sistema deregolato che abbiamo ereditato dagli anni della globalizzazione, si tratta di una posizione a sua volta insostenibile. Del resto, è un’altra bizzarria di questo tempo che un Paese a guida definita ‘comunista’ si faccia oggi alfiere del libero mercato globale. Per la pace serve più politica, non più mercato. [..]”