Tra rivelazioni e scandali, la controversia sullo stabilimento ILVA di Taranto sembra dare la sensazione che tra tutela del lavoro e tutela della salute lo scontro sia insanabile e non vi sia modo di conciliare l’una e l’altra. Così, mentre alcuni osservatori tedeschi suggeriscono all’Italia di chiudere lo stabilimento e abbandonare la siderurgia, i consiglieri del ministero dell’ambiente sembrano agitare lo spauracchio della querela contro chi denuncia gli alti livelli di inquinamento dell’impianto. Il rischio, di questo passo, è che si finisca per sacrificare uno dei due diritti in gioco, quello al lavoro o quello alla salute. Eppure una soluzione razionale esisterebbe. Il caso ILVA rappresenta infatti quella tipica situazione che gli economisti definiscono di “esternalità negativa”, in cui l’operatore privato inquina ma si rifiuta poi di sostenere i costi di bonifica e ammodernamento dell’impianto. In un caso simile la mossa logica del governo dovrebbe essere una: annunciare la pronta disponibilità dello Stato ad acquisire l’azienda qualora il proprietario non intendesse provvedere alle spese necessarie per salvaguardare la salute e l’ambiente. I membri dell’esecutivo preferiscono invece cavalcare l’onda della paura di veder chiuso lo stabilimento, col rischio di favorire gli interessi della proprietà a scapito di lavoratori e cittadini. Ne discutono Udo Gumpel (MTV), Stefano Cingolani (Il Foglio), Paolo Messa (consigliere del Ministero dell’Ambiente), Tonia Mastrobuoni (la Stampa), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio). Conduce Marco Fratini.
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