Stralci da “UNA CATASTROFE TOTALITARIA”: un’intervista collettiva a Emiliano Brancaccio a cura di Giacomo Gabbuti, sul nuovo numero di JACOBIN in uscita giovedì 18 giugno 2020.
“[..] trovo stupefacente che fino a poche settimane fa la Banca centrale europea e altre istituzioni evocassero la prospettiva confortante di una crisi «a forma di V», cioè con una rapida caduta e un altrettanto rapido recupero […] Chi evoca un rapido ritorno alla «normalità», a questo punto compie un’azione intellettualmente criminale. [..]”
“[..] la collettività si fa carico delle perdite degli investitori privati durante le crisi, mentre questi invece tengono per sé i profitti nelle fasi di espansione. Penso che chiamare queste porcherie «socialismo» sia un po’ offensivo per la storia stessa del socialismo. […] Richiamando Louis Althusser, per capire quello che sta accadendo potremmo allora suggerire un’altra espressione: lo Stato interviene nell’umile ruolo di «ancella» della riproduzione del capitale finanziario [..]
“[…] la lotta per il piano è l’antitesi logica della lotta per il reddito. Se ci pensate, le lotte per un reddito di base universale e incondizionato alla Toni Negri, o per la «helicopter money for the people» à la Jeremy Corbyn, queste iniziative non mettono in discussione l’attuale regime di riproduzione del capitale, che si basa sulla libertà della finanza. L’allocazione dei capitali e la mobilitazione delle forze produttive resterebbero subordinate alla logica del libero mercato. L’unica novità è che a valle si redistribuirebbe un po’ del surplus capitalistico. Questo va anche bene, ma è insufficiente, ed è totalmente inadeguato rispetto alla crisi attuale – una catastrofe che definirei «totalitaria», perché combina crisi di domanda e di offerta, e quindi rende insufficienti anche le più ardite ricette Keynesiane […]”
“[…] Siamo nel mezzo di una rivoluzione della prassi capitalistica, senza disporre di una teoria rivoluzionaria condivisa. Abbiamo ancora nella mentalità collettiva l’eco delle ottuse lotte alla casta, agli scontrini, ai cartellini, ecc. che non erano altro che forme fenomeniche del liberismo. Dobbiamo ammettere che siamo ancora all’anno zero della formazione di una intelligenza critica collettiva. Temo quindi che nell’immediato assisteremo a un nuovo baccanale degli speculatori, e a un’ulteriore accelerazione dei processi di centralizzazione capitalistica. Dinanzi a una nuova festa della classe egemone, le classi subalterne mireranno il carnevale dalla finestra per poi passare alla cassa e pagare il conto. Ma penso pure che questa crisi avrà effetti colossali sugli assetti sociali e politici. Non dimentichiamo che la grande recessione del 2007-2009 ha portato alla ribalta i cosiddetti «populisti», che fino a quel momento erano praticamente inesistenti. Qualcosa di simile potrebbe avvenire anche stavolta. Con una differenza, però. Allora i populisti si presentarono al mondo in una veste di apparente terzietà, secondo l’idea che la distinzione tra destra e sinistra fosse ormai superata. La mia opinione è che quella idea di terzietà sia destinata a dissolversi. La crisi del coronavirus accentuerà il solco delle divisioni di classe, distruggerà tanti piccoli padroni, assottiglierà ancora il cosiddetto ceto medio e metterà in difficoltà le moderne aristocrazie operaie, pubbliche o private, manuali o intellettuali che siano. Nel «nuovo mondo» la disgregazione e la ricomposizione della lotta politica avverrà di nuovo lungo la linea divisoria delle classi contrapposte. […]”